Intervista a Beniamino Marcone: «Con “Alfredino – Una storia italiana” abbiamo voluto raccontare l’operatività e la generosità delle persone»

Beniamino Marcone è nel cast della miniserie Sky Original Alfredino – Una storia italiana, diretta da Marco Pontecorvo e prodotta da Marco Belardi per Lotus Production. Il progetti vanta al suo interno artisti come Anna Foglietta, Vinicio Marchioni, Francesco Acquaroli, Valentina Romani, Giacomo Ferrara. In questi mesi, l’attore ha anche preso parte alla pellicola internazionale House of Gucci di Ridley Scott. Per l’artista la recitazione è un ponte sociale che lo collega ed avvicina ai più giovani. Per Beniamino, nella recitazione c’è tutto: empatia, precisione, follia, serietà, libertà.

Beniamino, sei tra i protagonisti della miniserie Alfredino – Una storia italiana che narra una vicenda di grande importanza per l’Italia intera…

Sì, abbiamo raccontato una delle più grandi ferite del nostro paese. Volevamo raccontare questa storia in maniera estremamente rispettosa, dando dignità a questo progetto. Gli sceneggiatori, il regista e la produzione hanno voluto raccontare non solo i giorni della tragedia ma anche quello che è successo dopo. Da quei momenti così dolorosi, è nata non solo l’Associazione Centro Alfredo Rampi ma anche la Protezione Civile. Noi tutti andiamo incontro a delle vicende drammatiche nella vita, però credo che sia importante evidenziare come si affronta tutto. I genitori Rampi, dopo la tragedia, si sono dimostrati eroici e hanno fatto un vero e proprio atto d’amore nei confronti della società.

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All’interno della serie, interpreti Marco, un ingegnere dei vigili del fuoco che prende parte all’operazione per salvare Alfredino. In che modo hai costruito il tuo personaggio?

Ho letto diversi libri come L’inizio del buio di Walter Veltroni e Il caso Alfredino Rampi di Romina Capone, dove si racconta anche la figura di Marco Fagioli. Ho letto, mi sono documentato, ho cercato di osservare su Internet una serie di testimonianze sulla vicenda. Tutto quello che ho letto e che ci siamo immaginati ha avuto riscontro quando siamo arrivati sul set e sono venute a trovarci diverse persone che hanno vissuto, in prima persona, il caso di Alfredino, tra cui la famiglia del pompiere Nando Broglio. I figli di Broglio mi hanno raccontato tante cose su Marco che avevano riconosciuto nella mia interpretazione.

Quando si accetta di prendere parte ad un progetto del genere, inevitabilmente, ti poni molte domande. C’è molta responsabilità nell’approcciarsi ad una storia così forte. Come ci si avvicina in modo giusto ad una serie di tale importanza?

All’inizio, ho avuto un po’ paura. Questa vicenda, ancora oggi, fa molto male alle persone. Eppure, ciò che fa male deve essere affrontato e noi siamo partiti da questo. Ci siamo detti: Dobbiamo affrontare questa vicenda in un modo che sia rispettoso e dignitoso. Volevamo dare alla storia una valenza. Questo è il lavoro degli attori. Dal primo giorno, ci siamo uniti tutti insieme. Abbiamo fatto insieme le prove letture, ci siamo coordinati sul tono, sull’espressività di questa vicenda. Ci siamo sentiti più protetti proprio perché eravamo tutti insieme. Non volevamo raccontare la TV del dolore, non volevamo fare del pietismo. Eravamo tutti coscienti del tipo di lavoro che volevamo fare. Abbiamo portato in Alfredino – Una storia italiana la realtà dei fatti: quando c’è da salvare una vita umana, le persone diventano operative. Scatta qualcosa dentro ognuno di noi. Le paure, la morte e la fragilità hanno una valenza diversa. In situazioni del genere, trovi delle energie incredibili per affrontare dei momenti delicatissimi. Ed è questo ciò che abbiamo voluto raccontare: l’operatività, la generosità delle persone, il voler salvare a tutti i costi una vita umana.

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Nel 2020, hai preso parte alla pellicola Gli anni belli, l’esordio alla regia di Lorenzo d’Amico de Carvalho. Che esperienza è stata, per te?

Io e Lorenzo siamo amici da quindici anni. Tra noi esiste un’amicizia profondissima. Abbiamo iniziato, facendo delle esperienze teatrali insieme. Gli anni belli è una commedia brillante, ambientata in Calabria. Per me, è stata un’avventura. In questa storia, gli anni Novanta sono raccontati sotto un’altra lettura. Ci siamo molto divertiti, in quanto il film è molto corale. Eravamo sempre insieme ed è stato bellissimo. C’era una partecipazione emotiva molto forte. Ho costruito un grande rapporto di empatia verso il progetto di Lorenzo. Ci siamo sentiti una vera squadra.

Nei mesi scorsi, sei approdato sul set di ‘House of Gucci’ di Ridley Scott. So che non puoi rivelare nulla della tua partecipazione al progetto…

Già. Posso dirti, però, che è stata un’esperienza meravigliosa su un set grandissimo. Mi sono confrontato con una lingua che non era la mia. Per me, è stata una bella sfida. Ho visto delle cose che raramente hai la fortuna di vivere e vedere. C’è stato un modo di lavorare al film eccezionale. Credo sia stata una grande esperienza formativa che mi ha permesso di vedere come è strutturato il Cinema internazionale. C’è una cura dei dettagli, si preserva la parte attoriale dalla parte di preparazione. Gli attori arrivano sul set quando si sta per battere il ciak, non prima. E quando arrivano gli attori, si gira. C’è un livello di organizzazione incredibile e piramidale. C’è una grande struttura dietro un film del genere. Ridley Scott è un regista professionale, una persona tranquillissima. In lui c’è un valore umano fantastico.

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Sei molto attivo nel sociale e promuovi l’arte nelle scuole. Credo che sia bello avvicinarsi ai giovani in questo modo, non credi?

Ho iniziato un percorso per e con i giovani da dieci anni. Provo a restituire ai giovani ciò che la vita mi ha fatto scoprire. Non tutti hanno queste possibilità. Si parla spesso di povertà educativa. Ma la povertà educativa non è una povertà economica ma di possibilità. La mia possibilità nel mondo dell’arte me la sono sudata, in quanto non vengo da una famiglia di artisti. Mi sono avvicinato a questo mondo, pian piano. Però, poi, ho scoperto che questo è un mondo che ti può donare molto, soprattutto dal punto di vista sociale. Mi sono messo a disposizione per alcune associazioni. Al centro di ogni progetto educativo, le arti sono centrali. Portare una didattica all’interno delle scuole è fondamentale. Si possono insegnare tutte le materie passando attraverso l’arte. Tutto è collegato. Si può insegnare la matematica, anche parlando dei frame della pellicola. Tutto questo appassiona i ragazzi, li fa uscire dagli schemi. All’interno delle scuole, cerco di portare una ventata di lezioni alternative, dove i protagonisti sono i ragazzi. Mi gratifica tanto fare questo lavoro. Amo quando i ragazzi non ti riconoscono più soltanto come un attore ma come un compagno di viaggio e riescono a confrontarsi con te. Gli artisti sono utili a livello sociale perchè fanno da ponte con i giovani. Riescono a parlare delle lingue che non sempre le istituzioni usano. Entrano in contatto con la vita reale. Bisogna ascoltare i giovani.

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