Venezia 2022, Vanessa Kirby parla della sua esperienza in The Son: «Amo i film che ci permettono di porci delle domande»

Venezia 2022, Vanessa Kirby parla della sua esperienza in The Son: «Amo i film che ci permettono di porci delle domande»
La Biennale, Twitter

È stato presentato ieri in Concorso alla 79ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia The Son, il nuovo film di Florian Zeller, con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby,
Zen McGrath e con Anthony Hopkins. Due anni dopo il divorzio dei genitori, il diciassettenne Nicholas non può più vivere con sua madre. Il male di vivere che sente è diventato una presenza costante e il suo unico rifugio sono i ricordi dei momenti felici di quando era bambino. Il ragazzo decide di trasferirsi dal padre Peter, che ha appena avuto un figlio dalla sua nuova compagna.
Peter prova a occuparsi di Nicholas pensando a come avrebbe voluto che suo padre si prendesse cura di lui ma nel frattempo cerca di destreggiarsi tra la sua nuova famiglia e la prospettiva di un’allettante carriera politica a Washington. Tuttavia, mentre cerca di rimediare agli errori del passato, perde di vista il presente di Nicholas.

Venezia 2022, Vanessa Kirby parla della sua esperienza in The Son: «Amo i film che ci permettono di porci delle domande»

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Nel corso della conferenza stampa al Festival di Venezia, Vanessa Kirby ha raccontato così la sua esperienza in The Son: «Florian Zeller è un maestro nel comunicare le cose non dette, le cose che provengono dall’inconscio e le cose represse. Penso che sia la cosa più difficile della dinamica. Questi personaggi non sono in grado di parlare l’uno con l’altro e di condividere quello che sta accadendo realmente dentro di loro. A volte, non lo sanno nemmeno. Quindi, vedi elaborare tutto in tempo reale. Ho scoperto che alcune delle cose più dolorose da fare sono quelle di sapere che può esserci un’esperienza, non espressa, che sta accadendo all’interno del personaggio, della sua persona e della sua psiche. Credo che il film sia così bello perché riesce a catturare ciò che è represso. Guardare Hugh, Zeller e Laura lavorare è stato magistrale, per me. La loro interpretazione era tutta nel non detto ed è così raro ciò che scrive Florian; è raro perché è qualcosa che hai non nelle parole ma nei pensieri e nei sentimenti. Ed è stata una sfida davvero entusiasmante».

Inoltre, l’attrice ha aggiunto: «Immagino di essere più ispirata dal cinema che pone domande su di noi come persone, su quelli che si siedono al Cinema in una stanza buia. Domande che non ci poniamo spesso. Quando ho letto la sceneggiatura sapevo che la storia mi poneva domande su cosa avrei fatto, su cosa avremmo fatto in una situazione così complessa, sfumata e in conflitto. Ogni singolo personaggio ha il proprio insieme di tumulti interni e un’incapacità di esprimere come si sentivano. Cerco sempre film che richiedono cose difficili. E so che Florian Zeller chiede questo tipo di cose e vuole esporsi in quegli angoli che sono dolorosi. Sono più ispirata dai film che pongono quelle domande, in modo che quando le pongo a me stessa, mi sento meno sola perché so che qualcun altro se le sta ponendo. Ecco, tutto questo mi ha reso felice di essere parte di questo film, di guardare questo cast lavorare, di vedere il dolore sullo schermo che mi fa sentire meno sola, più parte della comunità umana».

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