Brio e profondità: sono gli ingredienti dello sguardo nocciola di Chiara Celotto, classe 1997. La sua carriera è iniziata calcando i palcoscenici napoletani, ma lei sta già allargando la visuale. Chiara posa gli occhi in ogni direzione, per conoscere tutto ciò che è altro da sé, senza però dimenticare ciò che porta dentro di sé e che sempre l’accompagna. Chiara fruga; nei suoi personaggi va alla ricerca del simile e del difforme, senza mai adagiarsi troppo.
“La terra / ha tutti questi centimetri / per me”, scriveva Mariangela Gualtieri e, sicuramente, ha parecchi centimetri anche per Chiara. Lei è pronta ad esplorarli e a scoprire i molti altri dietro l’orizzonte.
Intervista a Chiara Celotto
Ciao Chiara, benvenuta. Volevo cominciare partendo un po’ dalle tue origini artistiche. Prima di approdare al cinema e in tv, tu vieni dal mondo del teatro. Quando hai capito di voler fare l’attrice?
Chiara Celotto: Durante uno spettacolo di danza. Era uno spettacolo di teatro-danza, ed è stato il mio primo spettacolo nella compagnia di danza contemporanea con cui ho lavorato per cinque anni, la “Skaramacay” di Erminia Sticchi. Abbiamo partecipato con il corpo di ballo a “La cantata dei pastori” di Peppe Barra, in cui ci sono anche grandi attori. Durante la tournée ho capito che, quello della recitazione, era un tipo di linguaggio per me importante da esplorare. Non avevo mai pensato di fare l’attrice, ma ho sentito il bisogno di addentrarmi in quest’altro tipo di espressione artistica. Poiché sono una persona che vuole fare le cose per bene, mi sono detta: “devo fare l’accademia”. In un secondo momento, ho capito di essermi già avvicinata al teatro fin da bambina: a tre anni guardavo “La gatta Cenerentola” e conoscevo a memoria tutte le scene e tutte le canzoni. Avevo un teatrino di legno con le marionette e mettevo in scena degli spettacoli che i miei genitori e i loro amici dovevano guardare. Quindi mi è sempre piaciuto il teatro, però mi imbarazzava parlare in pubblico.
Comunque dopo aver partecipato a “La cantata dei pastori”, ho deciso di provare e ho letto il bando per il Teatro di Bellini. In un primo momento ho pensato di avere diversi mesi per prepararmi alle audizioni; invece, chiedendo informazioni lì in teatro, mi è stato detto che il provino sarebbe stato il mese successivo. Allora ho pensato “vabbè, non ce la faccio”, ma al Bellini mi hanno incoraggiata a tentare ugualmente. Così ho fatto dodici lezioni di teatro per prepararmi al provino e… mi hanno scelta. Non so perché lo hanno fatto, ma il teatro non l’ho più mollato.
Negli ultimi anni, poi, hai preso parte a degli importanti progetti televisivi: da “L’amica geniale – Storia di chi fugge e di chi resta”, “Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso” e, recentemente, “Resta con me” in cui hai interpretato l’agente Linda Fiore. Quali consapevolezze hai acquisito su questi set?
Chiara Celotto: Sono stati tutti set molto diversi tra loro. Sicuramente dal set di “Vincenzo Malinconico” ho rubato da Massimiliano Gallo la grande capacità di improvvisare e di non essere schematica. Essendo il mio primo grande ruolo in una grande produzione, avevo la preoccupazione di non seguire perfettamente tutto e di dover essere molto precisa. Ed essere troppo precisa, ho capito qui, è uno sbaglio. Massimiliano è stato un grande maestro, un grande capocomico da cui ho rubato tantissimo. Da questo set ho preso – forse “capacità” è un parolone – però ho reso mia la consapevolezza che improvvisare ed essere più sciolta sul testo aiuta tanto; così come ho realizzato l’importanza di essere più aperta, anche verso te stessa.
Con “Resta con me”, invece, ho avuto il primo ruolo in cui sono stata veramente presente: ho girato quasi tutti i giorni, per sette mesi. Questa è stata per me una grande prova di rapidità, di quella che chiamo “intelligenza da set”: è stato un set in cui c’erano tantissime scene da girare, tantissime battute da imparare, tantissimi episodi e, quindi, anche salti temporali pazzeschi. La regista, Monica Vullo, mi ha aiutata tantissimo, in un progetto per cui avevo molta ansia.
Da cosa è derivata questa ansia?
Chiara Celotto: Innanzitutto, in “Resta con me” è stata la prima volta in cui ho interpretato un personaggio molto distante da me. Fino a questo momento, mi ero approcciata a personaggi più comici o comunque ironici. Invece Linda è un personaggio cupo, con un passato sofferto. In più, qui si è aggiunta la questione lavoro: ho dovuto interpretare una poliziotta e quindi affrontare un lavoro difficile e distante dal mio quotidiano. E’ difficile capire cosa si prova nel momento in cui puoi essere sparato, in cui ti trovi davanti al pericolo; ed è difficile anche capire come affrontare questo pericolo in modo verosimile, anche perché cerco di trasmettere la verità e di portare in scena delle persone e non dei personaggi.
E poi è arrivato “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia…
Chiara Celotto: Sì. Ci tenevo tantissimo a essere parte di questo progetto, nonostante quando mi è arrivato il provino io non ne avessi letto la sceneggiatura, ma soltanto la sinossi. Mi perdonerà Sydney, ma non conoscevo la storia di “Mixed by Erry” e quando, appunto, ho letto la sinossi ho immediatamente pensato che fosse incredibile, che dovesse essere portata in scena e che anch’io volessi raccontarla. Il ruolo che mi è stato proposto, Francesca, seppur distante temporalmente l’ho sentita subito vicina e al provino immediatamente ho detto “lo voglio fare”. C’è stato qualcosa che mi ha legato a lei. E l’esperienza di questo film è stata ancora diversa: andare in un’altra epoca, interpretare persone che esistono. Da questo set sicuramente mi sono portata dietro il senso di responsabilità. Da ogni set, che sia più difficile o faticoso o felice, porti con te sempre qualcosa di diverso, che poi è la cosa migliore: non replicare mai.
Il tuo mestiere è fatto di attese: sui set, a teatro e anche le attese che accompagnano i provini. Come affronti tu l’attesa?
Chiara Celotto: L’attesa la affronto in base a come sto in quel periodo, da cosa mi succede intorno, da cosa c’è stato immediatamente prima. Sicuramente, però, le vado incontro, perché o l’attesa si affronta o questo mestiere non si può fare. Di base, comunque, la vivo bene e attendere non mi fa paura. A volte è più complicato trovare le risorse per superarla: siamo esseri umani e, se l’attesa dura tanto, essere sempre i salvatori di sé stessi o le proprie ancore diventa difficile. Nei momenti di attesa, oltre che continuare a studiare, personalmente cerco di arricchirmi con qualcosa che mi piace e che conosco, oppure cerco qualcosa che non conosco e che potrebbe piacermi. Di solito è qualcosa che prende vita, che prende una forma sua.
Quali sono, se ci sono, artisti o persone che ti ispirano, nel tuo lavoro e nella vita?
Chiara Celotto: Nel lavoro ti dico che non ho miti, mi ispiro all’umanità: mi piace guardare l’umanità per quella che è, rimanerne delusa, sorpresa. Mi piace farmi attraversare dall’umanità, nel senso più totale. Nella vita… me stessa. In parte scherzo, però sono contenta di come affronto la vita. Ti dico una cosa abbastanza intima: ci sono stati dei momenti molto complessi nella mia vita e, anche in questi, non sono riuscita ad avere un modello o un esempio da seguire. In queste situazioni, ho cercato di capire da sola quale potesse essere la cosa giusta per me e per il benessere collettivo e sono riuscita, poi, a trovare il modo di affrontarle.
E quali sono le donne e i personaggi che vorresti raccontare e interpretare nel tuo futuro?
Chiara Celotto: Sicuramente mi piacerebbe interpretare un uomo. In generale, vorrei interpretare personalità molto distanti dalla mia, più lontane possibili da me. E’ certamente una sfida più grande: è più divertente, ma anche più difficile. E’ più difficile non stare comodi, però è il bello del mestiere. Mi piacerebbe molto interpretare Frida Khalo o comunque personalità che non sono immediatamente comprese, ma che io sento di aver capito. Mi piacerebbe anche approcciarmi a personaggi la cui storia è legata alla salute mentale.
Chiara, cosa rappresenta per te l’arte?
Chiara Celotto: L’arte è… E’ difficile. Dirò una cosa banale, forse, ma l’arte è la possibilità che ha qualsiasi essere vivente di esprimersi. Per me l’arte è sopravvivenza. Penso non ci sia altra parola da aggiungere.
Intervista a cura di Valentina De Brasi
Foto: Raffaello Paparo
Video: Ciro Meglio e Domenico Piccolo
D.O.P: Rosa Lombardo
MakeUp & Hairstyle: Cinzia Signore
Location: Villa de’ Lucchéri
Creative director: Valentina De Brasi