Intervista ad Anna Elena Pepe: «Attraverso i film dobbiamo mostrare la verità delle donne»

Intervista ad Anna Elena Pepe: «Attraverso i film dobbiamo mostrare la verità delle donne»

Attrice, regista e sceneggiatrice italo-britannica. Anna Elena Pepe presenta il corto Miss Agata che ha scritto, diretto e interpretato. Il corto si è aggiudicato il premio come miglior sceneggiatura- film in sviluppo Premio Tixter 2020 al Murmat Film Festival.

Agata è una ragazza di poco più di trent’anni che nasconde un passato difficile. Si trasferisce dal Piemonte a Ferrara, nella vecchia casa della nonna, per sfuggire all’ex fidanzato violento. Quando Nabil, un timido ragazzo del Gambia, riesce a farle tornare il sorriso, lei si convince che lui potrebbe essere la risposta a tutti i suoi problemi…

Intervista ad Anna Elena Pepe

Intervista ad Anna Elena Pepe: «Nei film dobbiamo mostrare la verità delle donne»

Benvenuta, Anna Elena. Come nasce Miss Agata?

Miss Agata Nasce dalla mia volontà di raccontare il disturbo post traumatico da stress dopo violenza. Molte donne, anche anni dopo aver subito una violenza, continuano ad avere attacchi di panico, non si fidano del prossimo e vedono in maniera distorta la realtà. Si parla poco di questa condizione, perché non fa notizia. Non si finisce all’ospedale, ma magari non si riesce a mantenere un lavoro decente o ad avere una relazione affettiva stabile.

In che modo ti sei avvicinata al personaggio di Agata per raccontarla?

Io ho sofferto di attacchi di panico come Agata, ho poi studiato il fenomeno e parlato con molte donne che hanno subito violenza. Mi piaceva però l’idea di alleggerire la situazione e rendere il personaggio di Agata un po’ buffo, alla Bridget Jones. Volevo questa dualità tra il dramma e la commedia. Lo spettatore così non capisce che sta arrivando un messaggio importante, arriva all’improvviso e non può fare che accoglierlo. Ho parlato con molte donne che soffrono di questo disturbo e mi hanno confermato che loro stesse fanno dell’ironia e sdrammatizzano e si sono ritrovate nel tono del racconto.

Nel corso del film, Agata combatte per uscire fuori dalla violenza, per liberarsi da tutte quelle prigioni in cui viene rinchiusa. In una scena particolare, una collega di Agata le dice: “Se succedono certe cose, é anche colpa tua”. Ma Agata non ha nessuna colpa. Cosa rappresenta per te quel momento all’interno della storia?

Incolpare la vittima è un fenomeno che purtroppo succede molto spesso, ancora più tra parenti e amici . Mi piaceva rappresentarlo tramite il personaggio di Giulia, l’amica di Agata. La colpevolizzazione della vittima consiste nel ritenerla parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso nell’indurre la vittima stessa ad autocolpevolizzarsi. Nel film è il “midpoint” del personaggio di Agata. Lei in questo momento decide invece di reagire ma forse non nel modo in cui ci aspettiamo.

Intervista ad Anna Elena Pepe: «Nei film dobbiamo mostrare la verità delle donne»

Tra i personaggi della storia, troviamo Nabil che aiuta Agata ad uscire fuori dal suo guscio. Lo fa ascoltandola, tendendole la mano, offrendole una cuffia per ascoltare la musica. Quanto é stato importante, per te, costruire un personaggio come quello di Nabil?

Molto. L’ispirazione è stata vedere tanti ragazzi immigrati della mia città isolarsi tramite la musica dal cellulare. Ho parlato con alcuni di loro e mi hanno detto che così trovavano il modo di sentire qualcosa che gli ricordava casa. Nabil e Agata sono entrambi ai margini di una società che non li accoglie. Si ritrovano nell’unica cosa che lui le può offrire, la sua musica.

Cosa può fare il mondo dell’arte per affrontare tematiche così delicate come la violenza sulle donne?

Tantissimo. Divulgazione come prima cosa, fare in modo che di certi argomenti si parli. In più fare in modo che le vittime non si sentano sole. Già dalle prime proiezioni tantissime donne mi sono venute a parlare, dicendomi che si erano sentite capite. Non sapevo se essere contenta o triste. Contenta perché il messaggio era arrivato ma triste perché ti rendi conto di quanto il problema sia più diffuso di quello che pensi.

Intervista ad Anna Elena Pepe: «Nei film dobbiamo mostrare la verità delle donne»

Anna Elena, quando hai deciso di diventare un’artista?

Essere Artista purtroppo non si sceglie, non sai se è un dono o una maledizione! Non puoi fare a meno di creare, ma questo porta anche molta solitudine e sicuramente una vita più difficile che una carriera “normale”. Porta anche molte gioie, ma non credo che in ogni caso sia un percorso che si sceglie, lo si deve fare e basta; è come respirare.

Quali sono le voci di donne che vuoi raccontare e perché?

Persone che non vedo spesso rappresentate nei film. E da un punto femminile, non maschile. A volte vedo film su donne tormentate, ma comunque raccontate con un filtro maschile che le rende quasi sexy e penso, ma io quando sono distrutta a casa non sono così? Perché non possiamo far vedere la verità?

Cosa rappresenta la libertà e quando ti senti più libera?

La libertà è partecipazione direbbe Gaber. La libertà non è semplicemente fare quello che si vuole quando si vuole ma ha un valore sociale. Perché si è liberi, di pensare, di scrivere, di creare, si può avere un impatto sulla società. La libertà, per me, è legata al mio senso di missione, al perché si fa quello che si fa. E finche si riesce a farlo, si è liberi.

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