Claudia Tranchese mi ricorda Marianne Dashwood di ‘Ragione e Sentimento’, così piena di amore e di trasporto verso le cose che sente. Mi ricorda Jo di ‘Piccole Donne’, così determinata e coraggiosa nel costruire quei sogni che, da sempre, si porta come bagaglio nell’anima. E poi, mi ricorda Marianne Sheridan di ‘Normal People’, con quel mondo interiore così pieno di amore da dare e ricevere, silenziosamente. Mi ricorda tanti volti, tante giovani donne, tante storie assorbite nel corso degli anni. Mi ricorda la passione, l’impegno, il rispetto assoluto, la comunicazione necessaria e umana. Mi ricorda i film e le pagine di un libro, le serie e le canzoni da riascoltare continuamente. Da Gomorra a Generazione 56K, questa giovane artista, dal cuore libero, di strada ne ha fatta e ne farà. Allora, mi siedo qui ad ascoltare le sue parole. Mi fermo qui a guardare, attraverso i suoi occhi, tutta l’arte che ha vissuto fino ad ora.
Benvenuta, Claudia. Penso che sia molto bello conoscerti come attrice, attraverso le tue interpretazioni, ma penso anche che sia molto interessante poter scoprire la tua arte attraverso le cose che scegli di guardare. Che spettatrice sei?
Non sono capace di guardare una serie piano piano, devo finirla in una notte. Non riesco a darmi dei paletti. Non so perché reagisco così, forse, perché vivo con tanta intensità le cose che vedo.
Quale è la serie che, negli ultimi mesi, ti ha coinvolta emotivamente?
Non si può non guardare Ethos. Questa serie mi devasta e non riesco ad allontanarmi da questa storia che parte durante alcune sedute di psicoterapia. Dalla psicoterapia, Ethos ti porta al di fuori. Ti fa capire la percezione delle cose raccontate durante una seduta e poi, ti permette di guardare ciò che accade al di fuori della seduta. Mi affascinano i personaggi ben scritti, la sceneggiatura fortissima, una fotografica meravigliosa che ti incanta. Ho amato il racconto di quella complessità che emerge e che ti affascina perché non è gratuita. Odierei guardare cose complesse che non vogliono dirti e trasmetterti nulla. Ti tengono legata allo schermo pur di ostentare qualcosa che non esiste. Quando le cose non sono giustificate, mi innervosiscono. Sembra quasi che quel progetto voglia prendermi in giro. Ethos, invece, è sorprendente. Racconta un mondo lontano da noi, come Istanbul, e te lo racconta in una chiave diversa da come siamo abituate a percepire le donne che vivono lì.
A quale personaggio, raccontato all’interno della serie Ethos, ti senti più legata?
Ogni personaggio ti colpisce ed entra nel tuo cuore. La protagonista Meryem va contro lo stereotipo della donna. Va contro sua cognata, contro le sue amiche, contro le donne di casa che vogliono farla sentire un prodotto già confezionato e lei dovrebbe soltanto adeguarsi a tutto ciò. Non può avere la possibilità di ribellarsi. Ora che ti racconto di Meryem mi viene in mente la mia Grazia in Gomorra. Guardandola, riconoscevo delle dinamiche simili. Entrambe sono due vittime di un sistema che ti vuole in un certo modo. Invece, loro cercano di reagire.
Oltre a Meryem, c’è un altro personaggio che ti colpisce e “devasta”, nel corso degli episodi?
Ho amato anche Yasin, il fratello di Meryem, che soffre della diversità di sua sorella. Lo vedi soffrire perché ha un attaccamento così forte alla famiglia ed ogni segno di ribellione di Meryem lo vive e percepisce come un tradimento e quindi, le va contro. Le chiede: “perché mi fai questo? perchè vuoi andare contro qualcosa che noi sappiamo che deve andare così?” Capisci che lui cerca di difendere la sua famiglia contro tutti e tutto. Ethos è una serie molto attenta alla recitazione e ai silenzi dei personaggi. Ed io sono una che ama i silenzi nelle storie, amo i personaggi che non hanno paura di restare in silenzio. I silenzi di Yasin ti fanno capire che, in realtà, lui percepisce che sua sorella vive in qualcosa di costretto, a cui deve aderire. Mi devasta questa storia. Ne sono uscita fuori stanchissima. Ed è stato bellissimo.
Che bello constatare quanto una storia possa sfinirti, in qualche modo. Questa è la potenza e la magia del cinema e della serialità…
Mi consumano storie del genere. Ne esco senza forze. Se tu ci pensi, non c’è nulla di razionale. Tutto quello che senti, guardando un film oppure una serie, è un sentimento. Amo vedere ciò che mi coinvolge.
Sbirciavo il tuo Instagram ed ho notato che hai pubblicato un post su Normal People, la serie con protagonisti Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal. Cosa ti colpisce di una storia del genere?
Per me, Normal People ha rappresentato un viaggio di scoperta, in alcuni tratti. Mentre in altri punti, guardando gli episodi, sembrava quasi che stessi ripercorrendo certi momenti della mia vita come, talvolta, il senso di inadeguatezza. Questa serie ha portato tanta verità. Il rapporto tra Marianne e Connell era composto anche da momenti di imbarazzo. Si percepivano diversi ed allo stesso tempo trovavano dei punti di contatto. Mi emoziona parlare di questo progetto. Ho pianto quando i protagonisti piangevano. I pianti di Marianne mi facevano stare male. La sincerità di Connell era meravigliosa, i suoi occhi sembravano guardarti attraverso lo schermo. Riconoscevo in entrambi una verità straziante, un tormento interiore così forte. Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal si sono messi in gioco come attori. Ho percepito ogni emozione, ogni sentimento che raccontavano. Ho avuto una profonda ammirazione per ogni componente di questa serie: dalla regia alla fotografia, fino alla sceneggiatura. Non ho mai percepito le scene di nudo come qualcosa di volgare oppure senza significato. Per me, ogni scena intima rappresentava la congiunzione di due storie che si riconoscono vicine. Hanno raccontato davvero un amore naturale. Comunque, Daisy mi ha fatto impazzire.
Cosa ti ha fatto impazzire di Daisy Edgar-Jones?
Daisy Edgar-Jones è stata pazzesca. Ha una misura nella recitazione, secondo me, eccezionale. Si è allontanata da qualsiasi forma di stereotipo che poteva avere il personaggio. Non ha rappresentato una disadattata oppure una naif. Ha portato una spiazzante verità in Marianne. Fa crollare qualsiasi pregiudizio. L’ho amata molto.
Se pensi al Cinema, quale artista ti catapulta in un’altra dimensione quando lo osservi?
Penso a Xavier Dolan. Lui rappresenta una mia dipendenza. Quando finisco di vedere un suo film, corro a vedere ogni intervista che rilascia su quel determinato progetto. Cerco le curiosità, i modi in cui è stata girata una determinata scena. Questa curiosità nasce, ogni volta, che una storia mi prende in modo così forte e non riesco a controllarla. Dolan mi spezza in due, mi fa piangere per giorni. Mi devasta. Possiede la nostalgia e la malinconia, la sensibilità e l’empatia quando racconta i suoi personaggi complessi.
Tra i film di Dolan, quale porti nel cuore?
Matthias & Maxime. Ci ho pensato per un mese, dopo averlo visto. Oltre a curarne la regia, Xavier Dolan è uno dei protagonisti della storia. Si mostra con una consapevolezza differente. Mostrandosi più fragile, ai miei occhi, è risultato più sicuro e forte paradossalmente. Non ha più paura di mostrarsi. Possiede uno strumento di analisi e scoperta di se stesso, differente. In questa storia, Maxime e Matthias affrontano un viaggio di scoperta di una sessualità che non deve avere paletti e limiti. Matthias va oltre ciò che aveva immaginato, grazie a Maxime. Scopre di provare delle cose che lo pongono di fronte ad una riflessione sulla propria vita e sulla persona che è. Mettendosi in discussione, si sente libero di poter esplorare degli spazi di intimità che, fino ad ora, non aveva mai esplorato. E per me, Dolan racconta le storie con una grande sensibilità, una sensibilità rara di chi ha vissuto determinate cose. Gli credo sempre e tutto questo mi distrugge. Anche quando resta in silenzio, mi emoziona.
C’è una scena di Matthias & Maxime che, adesso, è impressa nella tua mente?
All’interno della pellicola, Maxime osserva un disegno fatto da Matthias quando erano bambini. Ricorda la loro infanzia, vissuta insieme, e piange. Ho pianto così tanto per quella scena che mi bruciavano gli occhi. Mi sono fermata, ho stoppato il film per un po’ e poi sono ripartita. Dolan è stato capace di portare in vita, in quella scena, i sentimenti con una sensibilità estrema. Quando percepisco qualcosa di autentico, mi si attacca addosso. E mi rendo conto di non avere delle difese. Non ho ancora capito come potermi difendere, sotto questo punto di vista.
Non devi avere difese, per forza. Secondo me, è bello non privarsi di “sentire” ciò che vuoi.
Sai, c’è chi mi dice che devo imparare a capire quando è il caso di abbassare le difese, quando è il momento di lasciarsi coinvolgere. Perché essere sempre una spugna di rende anche molto vulnerabile. Ed essere molto vulnerabile, ti rende molto stanca. Mi rendo una spugna per tante cose, è come se sentissi di avere le antenne. Sento le cose anche quando non mi riguardano in prima persona. Le percepisco. Mi fa un po’ male ma poi mi rendo conto che mi torna utile nel mio lavoro. Vivendo così intensamente le cose degli altri, riesco a vivere così tante vite che non mi appartengono. Quando poi interpreto qualcuno e mi chiedono: “C’è qualcosa di te in quel personaggio?”, io rispondo: “Sì”. Dentro di me, ho delle cose che ho assorbito, anche quando non le ho vissute in prima persona. Vivo le esperienze degli altri, con un tale trasporto, che diventano le mie. Vivere, con una tale intensità, mi mette in discussione.
Quale attrice internazionale ti ispira, quotidianamente, nel tuo percorso artistico?
Posso darti una risposta emotiva? Se devo pensare ad un’attrice che mi ha segnata, sin da adolescente, penso a Marion Cotillard. Ero molto legata alla pellicola Amami se hai coraggio (Jeux d’enfants). Era un film romantico e leggero in cui ci vedevo così tante cose. Amavo la complicità tra Julien e Sophie, due persone che crescono insieme, dall’inizio. Entrambi, da grandi, hanno la capacità di capire che il loro sentimento è cambiato. Il romanticismo di Amami se hai coraggio non è mai patetico, è composto anche dall’ironia, dai dispetti, dalle sfide continue. Una sfida che in amore diventa un sottotesto costante per non far diventare il sentimento noioso; diventa una legge universale non detta. Il rapporto d’amore, all’interno del film, è in continua evoluzione. Sfidarsi, senza dirselo, può essere stimolante. Ho amato vedere i due protagonisti ed il loro sentimento che nasceva quando erano piccoli ed erano complici, poi diventano, pian piano, grandi e continuano a non lasciarsi mai. Da adulti, Julien e Sophie trovano il modo di non dividersi. Per me, Amami se hai coraggio ha rappresentato una sorta di romanzo di formazione. Da quel momento in poi, ho iniziato ad ammirare Marion Cotillard e la seguo sempre in ogni film.
Quali sono le attrice del presente che ammiri e stimi?
Sono molto felice di questa domanda. Specialmente se mi chiedi di parlare di attrici del presente perché posso permettermi di fare il tifo per attrici che si costruiscono da sole. Ho visto attrici che, nonostante i “no” ricevuti, continuano a non mollare. In questo momento, ammiro tanto Greta Scarano. Mi piace tantissimo anche come persona. Ammiro il modo in cui utilizza la sua immagine per portare dei messaggi ben precisi. Allo stesso tempo, faccio il tifo per Ludovica Martino che, ormai, non ha più bisogno del mio tifo: sta facendo un percorso meraviglioso. Tifo per Maria Luisa De Crescenzo che amo tanto. Faccio il tifo per Cristina Cappelli ed il suo esordio. In Generazione 56K, ha fatto un lavoro davvero bello. Inoltre, credo tanto in Giorgia Spinelli che vedrete presto. Mi piace tifare per le persone che, come me, fanno in modo che questo lavoro venga preso sul serio, per le persone che ci mettono il cuore.